(da una Tavola rotonda con Tamotsu Nakajima, direttore generale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai)
Come ci dobbiamo comportare quando non
riusciamo a concretizzare un obiettivo? Cosa si intende nel Buddismo per vita
realizzata? Cosa significa “praticare per kosen-rufu?”. Esistono modi diversi di affrontare un determinato problema
che portano a risutati diversi? Per tentare di chiarire questioni del genere
abbiamo incontrato Tamotsu Nakajima, direttore generale dell’Istituto Buddista
Italiano Soka Gakkai; erano presenti Maria Lucia De Luca, Maya Costantini,
Simona Caleo, Roberto Carvelli, Marina Marrazzi. Ecco un estratto della lunga
conversazione.
Maria Lucia: È un momento difficile,
i problemi sono tanti e non sono semplici da risolvere. E ci sono persone che
praticano ormai da tempo per le stesse difficoltà e si chiedono perché non
realizzano.
Tamotsu: Non basta praticare per riuscire a realizzare qualsiasi cosa, la pratica deve essere corretta. Quello che intende il Daishonin a questo proposito è molto preciso: se si pratica per realizzare il desiderio del Budda, cioè ci si impegna per kosen-rufu nella costruzione di una società pacifica e felice, non c’è niente che non si possa realizzare. Se non si realizza è perché non si sta praticando così.
Tamotsu: Non basta praticare per riuscire a realizzare qualsiasi cosa, la pratica deve essere corretta. Quello che intende il Daishonin a questo proposito è molto preciso: se si pratica per realizzare il desiderio del Budda, cioè ci si impegna per kosen-rufu nella costruzione di una società pacifica e felice, non c’è niente che non si possa realizzare. Se non si realizza è perché non si sta praticando così.
Maria Lucia: Se pratico per kosen-rufu realizzo anche i miei desideri?
Tamotsu: Sicuro, al cento per cento! Lo dice Nichiren Daishonin e anche il presidente Ikeda.
Maya: C’è un percorso tra il desiderio e la sua realizzazione: nella sua difficoltà e nella sua durata che peso ha il nostro particolare karma?
Tamotsu: La vita è infinita e si può cambiare tutto.
Dobbiamo risalire al nostro karma fondamentale, che è la decisione di
realizzare kosen-rufu come Bodhisattva
della Terra. Se lo riconosciamo, possiamo risolvere ogni cosa.
Maria Lucia: Come spiega Katsuji Saito a proposito della “Dottrina dei benefici” (cfr. BS, 143, 6-7) citando il Daishonin, se si ha fede nell’insegnamento che i tre sentieri delle illusioni e dei desideri, del karma e della sofferenza non sono altro che le tre virtù del corpo del Dharma, della saggezza e dell’emancipazione, si è in grado di affrontare qualsiasi difficoltà della vita. Cioè: se penso che le sofferenze che affronto ora nella vita quotidiana derivano dalla mia missione di bodhisattva, che quello che mi sta capitando è la compassione del Budda, allora cambia tutto: posso tirare fuori le capacità per risolvere ogni aspetto della mia vita. È una questione di fede.
Simona: Se volessimo riassumere tenendo conto di tutto, cosa vuol dire esattamente fare kosen-rufu?
Tamotsu: Vuol dire realizzare in ogni momento la tua Buddità. Di fronte a qualsiasi situazione, e grazie proprio a quella situazione, manifestare lo stato vitale del Budda. Ogni momento affrontato così va nella direzione di kosen-rufu. Il risultato non arriva dopo un certo numero di anni ma momento per momento, mentre affrontiamo il nostro karma e i nostri problemi. Per questo è importante chiederci in che modo stiamo affrontando le cose: chi non usa il Buddismo sta agendo a modo suo, ma anche tra chi pratica non saprei dire quanti lo stiano facendo correttamente. Ognuno sta affrontando la vita in qualche modo, e per ognuno il risultato è diverso. Siamo tutti nella stessa barca, ma in questa stessa barca qualcuno sta bene e qualcuno sta male.
Maria Lucia: E da cosa dipende, dal karma?
Tamotsu: No, è una decisione personale. Chi sta soffrendo sulla barca, lo sa dove sta andando? Spesso pensiamo che quando risolveremo il nostro problema saremo felici e che fino a quel momento ci sarà solo sofferenza, invece possiamo ricavare gioia da ogni situazione, momento per momento. Possiamo utilizzare ogni difficoltà per migliorarci e tirare fuori la Buddità da ogni situazione. Se l’unico pensiero è invece risolvere quel problema, la Buddità non c’è.
Roberto: Se al desiderio non diamo un corpo più grande, che è quello di kosen-rufu, anche quando lo realizziamo non c’è vera gioia, non c’è felicità.
Tamotsu: Come spiega Nichiren Daishonin in Lettera a Niiike, il solo fatto di avere la vita è una gioia. Ma, da un altro punto di vista, la vita può essere solo sofferenza. La gioia la devo tirare fuori io, affrontando ogni momento per kosen-rufu.
Roberto: Se non pratico per un obiettivo preciso ma per la felicità mia e delle altre persone, la pratica per me è più serena ed è tutto più facile. Ma certo non posso dire a un’altra persona di non desiderare e di non mettersi degli obiettivi.
Tamotsu: La mia vita sono io che la devo realizzare, non qualcun altro… questo insegna il Buddismo. Devo cambiare la mia idea personale e far entrare il punto di vista del Buddismo, altrimenti anche dopo tanti anni, praticando solo per il mio desiderio, è normale che non realizzi nulla. È praticando per gli altri, insieme agli altri, che io realizzo. Recito Daimoku per i membri nonostante i miei problemi, desidero preparare bene le riunioni anche se mantengo i miei obiettivi: è proprio grazie al pensiero degli altri che riusciamo a sviluppare quel tipo di desiderio che ci fa superare l’egoismo di voler risolvere il problema personale prima di qualsiasi altro.
Maya: Nella mia breve esperienza di pratica ho sperimentato che non tutti i desideri si realizzano, ma il Buddismo permette di realizzare la vita più bella e più giusta per me. È qualcosa che va oltre l’illusione del desiderio, perché a volte anche il desiderio può essere un’illusione.
Tamotsu: Quando nasciamo non abbiamo desideri personali, poi crescendo impariamo dagli altri come vivere e come essere felici, desideriamo essere felici come loro. Sono illusioni imparate da tutti gli altri… Da questo punto di vista posso dire di non aver mai realizzato nessuna cosa, sembra strano ma è vero.
Roberto: Poniamo però che una persona voglia mettere il suo desiderio dentro kosen-rufu, il desiderio più grande che li contiene tutti. Viene da chiedersi perché farlo, visto che in quella realizzazione sono comprese tutte le altre.
Maria Lucia: Ognuno di noi è diverso e ha la sua missione per realizzare kosen-rufu; mettersi degli scopi attraverso i quali manifestare la propria natura di Budda può essere anche un modo per non lasciarsi andare, altrimenti la vita sarebbe astratta e la meditazione separata dalla realtà.
Tamotsu: Ognuno ha un desiderio legato alla situazione che sta vivendo, e può vedere quella situazione come una manifestazione del karma o come un’occasione, dovrebbe sforzarsi di cambiare punto di vista.
Simona: I desideri sono una sorta di combustibile per la nostra pratica e la nostra crescita, anche i più concreti hanno il loro peso, forse si tratta di bilanciare la prospettiva personale con una più ampia?
Tamotsu: Ognuno deve affrontare il problema che ha, ma può scegliere di farlo considerandolo causa di sofferenza o causa di gioia: se lo vede come causa di gioia porta avanti la sua missione, se lo vede come causa di sofferenza resta prigioniero della situazione in cui si è manifestato. Affrontare il problema, e risolverlo, è l’unico mezzo per ricavare gioia da qualsiasi situazione.
Marina: Però per affrontarlo così bisogna essere convinti di risolvere, vale a dire avere fiducia.
Tamotsu: Praticando si imbocca una strada, a volte diversa da quella desiderata. A fare la differenza è lo sforzo che abbiamo fatto per risolvere il problema: maggiore è lo sforzo, maggiore il ricavo. Quella situazione l’hai utilizzata per te o per tutti? Il problema è lo stesso, ma il valore che possiamo creare può essere molto maggiore.
Roberto: La sfida è dimostrare che la Buddità si trova proprio all’interno dei desideri che più ci fanno soffrire, perché si nutre di questi desideri e li trasforma. Una relazione sentimentale può dare gioia o sofferenza, un lavoro può dare gioia o sofferenza, e così tutto, anche la pratica, l’attività… La sfida è riuscire a vedere la Buddità proprio lì.
Marina: Io credo che sia importante non ragionare troppo di fronte a un obiettivo chiedendosi se sia giusto o sbagliato, ma essere sinceri con se stessi e convinti che, se si recita Daimoku con tutto il cuore e ci si preoccupa della felicità degli altri, si può trasformare qualsiasi sofferenza che si prova. Poco tempo fa ero molto preoccupata per una questione di salute e ho recitato mesi per alzare il mio stato vitale, perché avevo paura. Cercavo di convincermi che anche per me c’era la possibilità di decidere di guarire, e sentivo che quella decisione mi richiedeva un coraggio molto più forte di quello necessario per decidere di essere felice “comunque”. Solo quando, con sincerità e paura, ho messo lo scopo di guarire, ho cominciato a sentire che stavo meglio, ho cominciato a guarire veramente.
Tamotsu: Il desiderio serve per andare avanti, ognuno con quello che ha. Se poi lo si è realizzato o meno, il desiderio, giusto o sbagliato che fosse, ci ha portato avanti. «Mirate a venti anni di pratica», aveva detto Sensei ai giovani nel 1981, e dopo ad altri venti ancora. Desiderando, affrontando, sforzandoci, prendendo ogni volta una nuova decisione che ci farà fare una nuova esperienza dando una “nuova prova concreta”, impariamo mano a mano cos’è la vera felicità, ci rendiamo conto che non è nelle cose fuori: ogni singolo essere umano ha desideri diversi, ma c’è un solo modo di essere felici.
Maria Lucia: Ma qual è la prova concreta per il Buddismo? La vera prova concreta, diceva Katsuji Saito, è il comportamento, perché è soprattutto quello che attira gli esseri umani.
Simona: Anche questo è fare kosen-rufu.
Tamotsu: Se ognuno realizza, dieci diventano venti, venti diventano cento, kosen-rufu è questo e si realizza momento per momento.
Maya: Come si fa quando la vita ci mette davanti difficoltà enormi, sofferenze lancinanti? Come incoraggiare chi si trova davanti a prove tanto difficili?
Tamotsu: Le nostre parole, i nostri pensieri e anche le nostre prove concrete hanno comunque un limite, qualcuno le apprezza, qualcun altro no. Oltre le nostre capacità c’è il Daimoku.
Maya: Ma per far sì che quella persona si alzi da sola? Che decida di andare avanti, di non mollare?
Tamotsu: Senz’altro io recito Daimoku per gli altri, ma non è la mia vita. La mia vita la posso realizzare solo io. Il Daimoku è di sicuro la prima e l’ultima cosa che si può fare per aiutare qualcuno, ma in mezzo ci sono tante altre cose. Ci sono esperienze, anche molto dure, che ci permettono di capire e sostenere altre persone, e ognuno può tirar fuori le sue capacità di stare vicino agli altri. È importante recitare Daimoku, tanto Daimoku, ma oltre alla quantità di Daimoku quel che conta è il desiderio di aiutare e lo sforzo che facciamo per ottenere un risultato. Il Daimoku senza desiderio non basta, così come il desiderio senza Daimoku. Con il Daimoku e con il desiderio mi metto quindi a cercare le cose adatte da fare per aiutare l’altra persona: la mia vicinanza, le mie azioni, qualcuno con cui parlare, uno scritto, tutto quanto possa aiutarla e soprattutto convincerla a prendere una decisione.
Maria Lucia: Rileggendo Risposta a Kyo’o, dove Nichiren dice che «una spada sarà inutile nelle mani di uno che non si sforza di lottare», cioè di chi non avanza come un “generale in battaglia”, ho capito improvvisamente il significato di questa frase. E ho cercato di tirar fuori, proprio come si diceva ora, sulla base del Daimoku, la capacità di fare azioni concrete. Fino a quel momento pensavo che recitando Daimoku, sforzandomi per gli altri, i problemi si sarebbero risolti da soli, come se io non disponessi di strumenti reali per affrontarli. Ho capito che è segno di poca fede non riuscire a tradurre la preghiera in un’azione concreta, in una strategia per avanzare. A volte vivere è difficile, bisogna affinare queste capacità.
Maya: Le grandi sofferenze sono parte del karma?
Tamotsu: Quando hai una sofferenza, anche se gli altri la possono vedere piccola, per te è enorme. Se la tua forza vitale è altissima il problema diventa piccolo, ma quando reciti meno Daimoku il problema diventa sempre più grande. Però Daimoku, come dice Nichiren Daishonin, significa “Daimoku più shakubuku“. A quel punto vai avanti tranquillo. Non risolvi? Va bene, vai avanti lo stesso. Si vedrà, mano a mano.
Maya: Ma che significa realizzare? Ottenere a tutti i costi quella cosa o restare aperti alle infinite possibilità che la vita offre?
Tamotsu: Il problema è che il ragionamento del Buddismo e il ragionamento nostro sono due cose diverse, e il nostro è difficile da abbandonare. Ma Nichiren Daishonin dice che un’altra via non c’è. Il presidente Ikeda invita sempre a parlare con convinzione quando trasmettiamo la nostra esperienza buddista: la questione è quanto riteniamo valida questa via. Andiamo oltre le parole, recitiamo Daimoku con il cuore, proviamo a seguire la via anche senza capire fino in fondo, e con serietà cerchiamo di risolvere il problema.
Maria Lucia: Si fa spesso differenza tra beneficio visibile e invisibile e molti dicono «sì, ho avuto tanti benefici invisibili, però quello visibile ancora non… si vede». Ma un beneficio visibile è anche una trasformazione grande di sé, non è soltanto, ad esempio, trovare un lavoro.
Tamotsu: Se non “si vede” niente forse c’è ancora da aspettare un po’… Ma separare i benefici visibili da quelli invisibili è un’operazione un po’ forzata.
Roberto: Bisognerebbe incoraggiare sempre le persone a continuare a praticare, su qualsiasi cosa.
Maria Lucia: Continuare a praticare e accumulare i tesori del cuore, come Nichiren invitava Shijo Kingo a fare, accumulare una fragranza interna che a un certo punto diventa visibile. Questa fragranza è come l’incenso, alla fine ti impregna così tanto che profumi.
Roberto: Se non si trova questa strada, se si recita solo per il proprio desiderio, la pratica diventa un’austerità difficile da portare avanti.
Tamotsu: Il desiderio fondamentale, uguale per tutti, è diventare felici. Felici ovunque e con chiunque, in qualsiasi momento o situazione, perché la felicità è qualcosa che dipende da noi, non dall’esterno e dal continuo mutare delle cose. È per coltivare questa capacità che facciamo ogni giorno prove ed esperienze.
Simona: Tra le preghiere silenziose ce n’è una dedicata ai desideri personali, che spesso è fatta in maniera frettolosa.
Tamotsu: Ognuno prega liberamente per i suoi desideri. Io personalmente, a ogni Gongyo, prego affinché non succedano disastri e calamità, penso ai diritti umani, al modo in cui tutti possano diventare felici. Faccio sempre l’ultima preghiera più lunga degli altri, tutti credono che mi sia addormentato, ma la preghiera silenziosa della gratitudine è per tutte le persone che esistono e che sono esistite: il tempo è infinito, la vita passata è infinita, l’attuale presenza di sette miliardi di persone è un numero finitoma enorme, tutti sono stati nostri genitori e nostri fratelli e sorelle. La vita è Buddità, non si divide tra chi pratica e chi non pratica, la vita è tutte le persone insieme.
Maria Lucia: Una volta ho fatto Gongyo con il presidente Ikeda che si è fermato a lungo sulla preghiera dei desideri, e ho sentito chiaramente che stava praticando per me.
Tamotsu: Per praticare correttamente dobbiamo, oltre che pregare, fare shakubuku. È l’unico modo per realizzare velocemente. Desiderando la felicità degli altri anche noi realizziamo: quanto è fatto bene questo Buddismo, non c’è traccia di egoismo.
Roberto: Inizi a praticare e cerchi il beneficio immediato, concreto; poi crescendo nella fede anche questi desideri dovrebbero diventare più grandi.
Maria Lucia: Desiderio e felicità, anche questo rapporto è da chiarire. Il desiderio muove tante cose: una persona capace, che desidera fortemente, a prescindere se pratichi o meno, lo realizza. Anche Hitler ha realizzato il suo desiderio.
Tamotsu: Il desiderio del Budda è la felicità di tutti, questa è la differenza.
Maria Lucia: Quando iniziamo a praticare non ci viene detto che un desiderio è meglio di un altro, ma veniamo immediatamente coinvolti in un sangha, in una comunità. La prima cosa da dire a chi inizia è che il beneficio più grande si ottiene facendo shakubuku, perché così si mettono le persone in condizione di fare quello che farebbe il Budda, di sposare il suo desiderio.
Tamotsu: Una volta capito che questo Buddismo funziona così – e solo un praticante può dirlo – parlandone ad altri si compie l’azione del Budda, basta farlo col cuore. E invece ci fermiamo a pensare: «Lo dico o non lo dico?». Sarebbe tanto semplice, ma noi non siamo semplici, complichiamo le cose.
Maya: C’è un modo per accorciare i tempi, per realizzare subito un desiderio?
Tamotsu: Si può fare, certo, basta offrire di più in cambio, creare un valore maggiore. Perché quando Nichiren Daishonin stava per essere decapitato è apparso un oggetto brillante nel cielo? La convinzione fa muovere tutto, permette di fare qualsiasi cosa.
Maria Lucia: Nichiren spiega che il suo vero beneficio è stata la convinzione, non l’oggetto brillante. Il prodigio è la convinzione. E la volontà di realizzare per kosen-rufu.
Tamotsu: Il fine è quello, senza mirare a quello non si realizza nulla.
Roberto: Puoi recitare Daimoku, ottenere una condizione vitale più alta, ma se continui a desiderare come farebbe qualsiasi persona illusa la tua vita sarà un’infinita austerità.
Maya: È naturale vivere qualche illusione, ogni tanto.
Tamotsu: Una volta, due, tre sono già troppe…
Marina: Ogni persona ha delle capacità e può ottenere molte cose senza praticare, ma noi preghiamo soprattutto per colmare la distanza tra il possibile e l’impossibile, per superare uno scoglio apparentemente insormontabile. È una sfida per superare il nostro limite.
Tamotsu: Quello che hai realizzato non può cancellarlo nessuno, aumenta sempre e alla fine non hai più paura di niente nella vita, puoi affrontare qualsiasi cosa. Ho incontrato persone apparentemente meno interessanti di altre – anziane, minute, senza bellezza e denaro – che però non appena parlano rivelano capacità enormi, e sono in grado di sorridere sempre.
Roberto: Le capacità dell’essere umano sono veramente infinite. Quello che aggiunge la Buddità è la capacità di cogliere il vero senso della felicità. Io ho iniziato a praticare perché volevo scrivere dei libri, e ne ho scritti tanti. Sono grato alla pratica per questo, ma la vera realizzazione è stata sconfiggere la paura di non farcela. Probabilmente senza praticare avrei pubblicato lo stesso dei libri, ma quello che ho ottenuto nel frattempo grazie alla pratica è stata l’esperienza più grande. Quando stava per morire mia madre pensavo: sarà il momento più brutto della mia vita, invece mi ricordo il venerdì sera più bello della mia vita, una grande felicità con questa persona che stava nel letto e io le facevo Daimoku accanto.
Marina: Il Buddismo nasce per questo. Gli scrittori esistono a prescindere dal Buddismo, così come le persone che superano lo strazio della morte e si riprendono. Però la percezione di felicità in concomitanza della morte, e anche quello che hai capito dopo che hai mandato i tuoi manoscritti e hai vinto la paura, è un’altra cosa. Esserti sfidato al di là delle tue capacità ti ha portato a ottenere questo risultato. La ricchezza che se ne ricava è incommensurabile.
Maya: Senza usare la mente, solo con il Daimoku, che cosa si può realizzare?
Tamotsu: Tutto. Ognuno realizza la sua vita, in modo diverso e a velocità diversa. Qualcuno pratica ma non usa veramente il Gohonzon. Pensare: sarò realizzato quando avrò ottenuto certe cose non è quello che conta, non è ciò che determina la felicità. Andando avanti così, alla fine questa persona non avrà capito cos’è la vita, quello che realmente doveva fare, e continuerà così, all’infinito…
Roberto: «E se non realizzo» è una domanda che ci si può porre anche rispetto all’attività, quando non si vede crescere la propria zona, per esempio.
Tamotsu: Se il problema di una persona è che non vede crescere la sua zona allora deve fare qualcosa, altrimenti vuol dire che non le importa veramente. Ognuno ha la sua felicità da realizzare: tralasciando la mia felicità non aiuto gli altri, ma la mia non viene mai per prima. Invece, se desidero la felicità degli altri realizzo anche la mia. Lo scopo del Budda era condividere la sua Illuminazione con gli altri, Nichiren Daishonin stava tra la gente, a differenza di tutti gli altri preti. Questo era il suo pensiero costante.
Maya: Una delle chiavi della realizzazione è perseverare, quando sembra che tutto stia crollando in realtà si sta creando qualcos’altro.
Maria Lucia: Il punto è coltivare una fede che permetta di andare avanti tutti i giorni. Io, ad esempio, ho sempre pensato che il denaro non facesse la felicità, che si potesse vivere bene anche con poco; ma ultimamente, pensando alla ricerca del kaikan, alla crisi, agli studi dei miei figli, per la prima volta mi sono trovata a pensare «io vorrei diventare ricca per kosen-rufu». L’ho semplicemente desiderato, senza giudicare, e l’ho sentito come un cambiamento, un approfondimento della fede. Il desiderare di non subire la vita è una prova concreta, un’esperienza di fede.
Tamotsu: La Soka Gakkai in passato era nota per raccogliere poveri e ammalati, ora è troppo ricca e suscita invidia. Quando la fortuna trabocca è senza fine. Il problema non è la mancanza di qualcosa, ma decidere come utilizzare il tempo che abbiamo a disposizione per aiutare gli altri.
Maya: Quando si è concentrati sull’avidità si ottiene comunque, ma facendo una grande fatica. Quando invece si riesce ad avere la convinzione, come disse Toda, che le cose vengono a te senza neanche cercarle, è tutto un altro vivere.
Maria Lucia: Non è giusto neanche guardare sempre indietro, rimuginare sugli errori commessi, il punto è da adesso in poi.
Tamotsu: Tutto quello che hai pensato, il Daimoku che hai fatto, ogni decisione che hai preso, sono tutte cose fatte bene, anche perché non puoi paragonarle ad altre. Questa convinzione è importante.
In Italia, in cinquantadue anni dalla prima visita del presidente Ikeda, tutti
i membri hanno fatto tante esperienze, e io desidero ringraziarli tutti.
(Tratto da: http://buddismoesocieta.pressbooks.com/chapter/desiderando-la-felicita-degli-altri-realizziamo-anche-la-nostra )


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